[ngg src=”galleries” ids=”20″ display=”basic_imagebrowser”]La biblioteca di Vergato è uno dei miei luoghi del cuore. Un po’ perché mi piacciono in generale le biblioteche, il silenzio che vi aleggia, il profumo dei libri, la certezza che non vi incontreranno fumatori molesti, hoolingans o cani in calore.
Un po’ perché nella biblioteca di Vergato ho brevemente intervistato due miti come Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, ho raccontato, come addetto stampa dell’Unione dei comuni dell’Appennino bolognese, a iniziative interessanti come la fiera del lavoro o spettacoli natalizi per bambini. Perché la biblioteca è quello che dovrebbero diventare tutte le biblioteche, non una banale piattaforma di prestito e ritiro libri, ma all’occorrenza un teatro, una sala concerti, addirittura un centro congressi. Insomma, il cuore pulsante della vita culturale di una comunità.
Per questo motivo, quando la bibliotecaria Chiara Lalli e l’assessora Patrizia Gambari mi hanno invitato a presentare qui “Stodadio – L’enigma di Artolè” ho accettato con entusiasmo. Avevo già avuto modo di presentare qui la raccolta di racconti gialli, di cui ero uno degli autori “Misteri e manicaretti nell’Appennino bolognese”, e avevo il ricordo di una sala piena, interessata, partecipe.
Siccome la storia però è sempre più imprevedibile di quanto noi possiamo immaginare, il pomeriggio a Vergato si è rivelata più difficile e proprio per questa più indimenticabile. Il 25 ottobre 2020 infatti ha rappresentato l’ultima giornata di libertà (forse è un’espressione un po’ forte ma la trovo efficace) prima di ripiombare nell’incubo del lock-down, doveroso e necessario, per carità, ma pesante.
Accanto a me c’era Eleonora Preci, una persona che non presenta libri abitualmente, e la cui partecipazione è stata a maggior ragione più preziosa, perché ha accettato con generosità il mio invito. “L’Eleo”, come la chiamavano affettuosamente le mie figlie, nei due anni che abbiamo vissuto a Tolè si è occupata del post scuola, con un successo tale che alle mie figlie dispiaceva non poter essere in classe magari per due linee di febbre proprio per non perdere l’appuntamento con il post pomeridiano. Averla accanto era il minimo per chiudere con bellezza la mia complessa e e meravigliosa esperienza di qualche anno trascorsa come cittadino toletano e lavoratore vergatese.
Alla presentazione, come era inevitabile, ha potuto partecipare un numero limitato di persone, anche per l’esigenze di distanziamento, ma questo l’ha resa ancora più preziosa ai miei occhi, come quando – passatemi il paragone fuori luogo e immodesto – un artista metta in scena un concerto non in uno stadio ma in un club per pochi intimi. Non ho parlato a caso di artista perché la giornata è stata arricchita da una mostra di opere d’arte, tra cui quelle dello straordinario scultore Paolo Gualandi, e dall’esibizione dal vivo di Germano Bonaveri. Germano ha preso spunto dal mio romanzo per intrattenere il pubblico presente con alcune canzoni stupende, appartenenti della tradizione dei cantautori italiani, cui ha accostato alcune canzoni altrettanto belle da lui scritte.
La mostra purtroppo è durata praticamente un solo giorno, e questo la rende per chi l’ha vissuta un’esperienza unica, irripetibile forse.
Se qualcuno mi dovesse chiedere perché perdo tanto del mio tempo libero a scrivere, risponderei che lo faccio con la speranza che quelle energie profuse mi tornino indietro in domeniche pomeriggio splendide, come quella trascorsa a Vergato, ad assaporare la gioia di stare insieme e vivere l’arte.